Né uomo né piccione. La figura al centro del progetto rappresenta l’idea di ibrido. Se uno stormo di piccioni è metaforicamente un blocco culturale ben distinto all’interno di un contesto culturale nazionale più ampio, l’ibrido è l’intenzione individuale di aprirsi al mondo. Le foto vogliono raccontare dei frammenti della vita dell’ibrido che, nonostante la propria volontà di aprirsi, si trova solo nell’intersezione tra il mondo di provenienza e quello di approdo che lo vede con occhi diffidenti. La scelta della maschera è ricaduta sul piccione perché è un uccello che una volta popolato un luogo non migra ma tende a sedimentarsi. Il progetto è totalmente realizzato in analogico, dagli scatti, alla stampa a ingranditore in camera oscura. Questo sia per una ricerca personale come neofita della fotografia analogica, sia, insieme alla scelta dei rullini e dei luoghi degli scatti, per cercare di restituire la solitudine che vive il protagonista. I rullini utilizzati sono tre, tutti bianco e nero, un Rollei retro400, un Ferrania P30 e un Kodak T-max400. Ho cercato di ottenere un contrasto alto scattando in giornate di sole in modo che le ombre risultassero piene.
Sono Tommaso Frammosa ho 26 anni e da un paio di anni scatto in analogico, prima con una compatta e da poco con una yashica FX-3 super2000 dell’ ‘86. Per me la fotografia rappresenta molte cose, in particolare però rappresenta la possibilità di salvarmi, la possibilità di salvare anche un solo spicchietto di quello che leggo del mondo, di superare le fatiche di far emergere un punto di vista che si riempie e si svuota, si distrugge per ricostruirsi in un ciclo che non trova mai un capo. Infine sicuramente rappresenta il fallimento, e realizzare questo progetto ha evidenziato la distanza tra intenzioni e risultato e mi ha insegnato che prima di rompere bisogna costruire.