Queste fotografie sono luci di un teatro che racconta di solitudine, vuoto, e assenza di eventi. Le figure umane sono ritratte in momenti di pausa, riflessive o in attesa di un indefinito. Il racconto fotografico si dipana così, prima e dopo lo scatto della macchina fotografica, e si scopre solo attraverso l’immaginazione dell’osservatore.
“La strada che Riccardo Varini individua per la sua fotografia è legata al saper ritrovarne le radici nella pittura. Così, non è un caso che si comporti come un pittore che mette in posa, colloca i propri modelli, fissa distanze, espressioni, stabilisce come su un set le fonti di luce e, alla fine, riprende gli interni oscuri con le luci taglienti e le ombre di Franz Hals, di Rembrandt, di Vermeer, o gli esterni con le strutture fuori del tempo di Hopper. Riccardo Varini, suggerendo la lunga durata delle immagini e l’esigenza di uno sguardo lento, lento certo come i tempi di costruzione delle sue fotografie, lento come i tempi di costruzione di un dipinto, peserà nel dibattito sulla fotografia oggi, e sulla idea di un più evidente possibile ritorno della fotografia alla propria matrice, la pittura, una matrice dalla quale in fondo non si è mai del tutto distaccata.