Un quartiere, un laboratorio, un mestiere, una vita. Quadranti, lancette, pendoli, pesi, molle, bilanceri. Luogo di stupore e meraviglia. Non è solo il fascino dinanzi alla rara preziosità ed originalità degli oggetti ma anche la sensazione di trovarsi al cospetto di una vita armoniosamente abitata dalla musica, dal ritmo, da ticchettii e rintocchi… dall’ esattezza. Forse anche lo stupore di fronte a qualcosa di interrotto e, fatalmente, di incompiuto.
Prendersi cura è un’espressione un po’ desueta e forse spesso svuotata di senso che però conserva un significato nobile e profondo; richiama un’assunzione di responsabilità ed un impegno paziente, costante, amorevole. È lo spirito che si immagina abbia animato chi, negli anni, si è impegnato a riportare in vita questi arcani tesori, frutto dell’ingegno e dell’amore per il bello.
Gli orologi sono una naturale ed inevitabile metafora del tempo, quasi il tentativo di dar corpo, di imbrigliare un’entità che inevitabilmente ci sfugge. Impossibile sottrarsi al loro incanto mentre, innumerevoli, ti guardano dalle pareti o dalla sommità di una scala, quando ingombrano tavoli e poltrone o colmano casse e ripiani o quando riposano su tovaglie lavorate all’uncinetto. Le loro anime di metallo sono racchiuse in corpi di legno, qualche volta di marmo, altre volte anche l’esterno è di metallo lucente.
Il suono estemporaneo degli orologi a pendolo sorprende il silenzio…