I semi di Yaya
“Vivo qui. Lavoro qui. Basta discriminazioni”.
“Giustizia per Yaya”.
“Yaya è tutti noi”.
Queste le uniche parole, ripetute come fossero un mantra durante tutto il corteo, che riecheggiano per le vie di Ferrara. Nessuna bandiera. Nessuno slogan. Era il 30 ottobre del 2021 e Yaya era appena morto.
Eppure, proprio in quelle parole sta il senso più profondo della manifestazione.
La catena infinita degli appalti scarica sugli ultimi, sui più ricattabili, il costo dell’economia capitalista. E gli ultimi sono i migranti. Contratti di pochi giorni, nessuna formazione, nessun presidio di sicurezza. Questi lavoratori e queste lavoratrici vengono usati come carne da macello. E come in un macello muoiono. Schiantati dalle macchine. Yaya Yafa muore così: al suo terzo giorno di lavoro, schiacciato da un camion, mentre lavora in uno
dei poli nazionali della logistica.
Gli amici e le amiche di Yaya chiedono giustizia. Organizzano il corteo. Una manifestazione di migranti in ricordo di un migrante. Con buona pace dell’eurocentrismo che spesso emerge quando si parla di immigrazione. Fra una preghiera ed un canto, il corteo di snoda per la città. Rabbia e lacrime lo accompagnano. Ed una richiesta. Che lega e tiene assieme tutti, non solo i migranti: basta accettare condizioni di lavoro indegne. Basta allo
sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Ma perché tutto questo avviene? Perché proprio la morte di Yaya scatena questa voglia di uscire dal buio?
Questo racconto fotografico prova a rispondere a questo interrogativi. Le foto, alternate alle parole di chi Yaya lo ha conosciuto, vanno lette come una risposta collettiva al bisogno di giustizia e di verità che la morte, e la vita, di Yaya portano con se. È un tentativo di raccontare la storia, o per meglio dire le storie, della migrazione dalla parte dei migranti. Dare voce a chi normalmente non riesce a parlare. Illuminare visi, mani e racconti che di norma vengono volutamente respinti nel buio dalla retorica razzista e nazionalista. Essere megafono: questo è l’obiettivo di questa raccolta di immagini e parole.
E così Yaya diventa una scintilla che accende il desiderio in chi lo conosceva di mostrarsi, di raccontare se stessi attraverso lui.
Eccoli, i semi di Yaya
Biografia:
Luca Greco nasce a Termoli, nel 1979, ormai più di quarant’anni fa. Dottore di ricerca in filosofia teoretica, Luca incontra sui banchi del liceo, nel 1996, Walter Benjamin e la sua flânerie. Da quel momento, perdersi
coscientemente fra le vie, le piazze, i labirintici vecchi carruggi delle città e dei luoghi che visita, sarà un tratto
distintivo del suo viaggiare.
Un sindacalista della CGIL, un educatore di scuola, un no global ai tempi del 2001, un ricercatore mancato, un volontario, un cooperante, un membro del comitato universitario per la pace Spartacus, un fondatore della sezione ANPI “Vittorio Arrigoni”: Luca oggi è ed è stato tutto ciò.
Luca ha sempre provato a guardare le situazioni con le quali si è confrontato dalla prospettiva più scomoda, quella dei vinti: il conformismo tipico dei vincitori non gli appartiene.
Il percorso fotografico che qui vedete esposto altro non è un tentativo di mostrare il lato nascosto della luna provando a connettere sguardi, storie, volti e mani solo apparentemente lontani e distanti ma che hanno un tratto comune: quella umanità di cui scriveva Vittorio Arrigoni.
coscientemente fra le vie, le piazze, i labirintici vecchi carruggi delle città e dei luoghi che visita, sarà un tratto
distintivo del suo viaggiare.
Un sindacalista della CGIL, un educatore di scuola, un no global ai tempi del 2001, un ricercatore mancato, un volontario, un cooperante, un membro del comitato universitario per la pace Spartacus, un fondatore della sezione ANPI “Vittorio Arrigoni”: Luca oggi è ed è stato tutto ciò.
Luca ha sempre provato a guardare le situazioni con le quali si è confrontato dalla prospettiva più scomoda, quella dei vinti: il conformismo tipico dei vincitori non gli appartiene.
Il percorso fotografico che qui vedete esposto altro non è un tentativo di mostrare il lato nascosto della luna provando a connettere sguardi, storie, volti e mani solo apparentemente lontani e distanti ma che hanno un tratto comune: quella umanità di cui scriveva Vittorio Arrigoni.