Nato nel 2019 dalla passione per la fotografia di Elisa Bianchi Testoni, Marco Brioni e Umberto Righi, il Collettivo Order #10362 si pone come obiettivo lo studio del delicato equilibrio tra uomo e territorio, concentrando inizialmente la propria ricerca sull’antropizzazione dei territori golenali del Po.
Il progetto #3016 nasce nel 2020 durante un workshop con Giovanni Marrozzini e viene realizzato un anno dopo nelle zone del centro Italia investite dal terremoto dell’agosto 2016, con particolare attenzione alle comunità di Accumoli, Arquata del Tronto, Ussita e Visso.
Il progetto è diventato anche un libro (curato da Paola Fiorini) allo scopo di sensibilizzare le istituzioni e l’opinione pubblica riguardo a una situazione dimenticata, preservando la memoria di un avvenimento tragico ed interrogandosi nel contempo sul ruolo della fotografia documentaria nel sistema dei new media.
Un breve resoconto degli autori (proposto al pubblico in apertura dell’esposizione, ospitata dal Comune di Gattatico all’interno del Centro Culturale Polivalente di via Cicalini, 14 a Praticello) esprime con esattezza la dura realtà delle zone terremotate ed il senso profondo del loro lavoro documentaristico.
Arriviamo a Pretare in un caldo soffocante. Siamo già stati qui, un anno fa, ma ogni volta l’impatto con la distruzione che il terremoto ha portato nel paese delle fate è sconcertante.
Già un anno prima ci eravamo resi conto di quanto poco fosse stato fatto in quattro anni.
Oggi, ad un ulteriore anno di distanza, le pietre storiche recuperate dagli edifici crollati che giacevano perfettamente ordinate sui bancali come in uno scavo archeologico, non sono state spostate di un centimetro; e forse è anche meglio così visto che le pietre sorelle di queste, a Grisciano, sono state ritirate per essere smaltite e poi invece sono finite ad abbellire prestigiose residenze romane, in una di quelle storture, dettate dall’avidità, che accompagnano questi eventi.
A Pretare tutto è rimasto fermo, immobile, nulla è cambiato. Solo l’erba, incurante di quanto avvenuto, ha continuato a crescere e si è lentamente ripresa gli spazi che la natura aveva a lei destinato, ma che l’uomo le aveva tolto.
Gli edifici squarciati formano perfette sezioni, degli spaccati che assomigliano più a un disegno tecnico che a un vero edificio, tanto è netto il taglio che ha messo in luce le parti più intime di quello che dovrebbe essere il luogo sicuro per eccellenza: la propria casa.
Ciò che vediamo è parte di un nuovo paesaggio, un paesaggio che annulla lo scorrere del tempo: ciò che sarebbe diventato rovina in 1000 anni, consegnandolo nel 3016 agli archeologi del futuro, è diventato in pochi secondi maceria.
E tutto è ancora così.
Mentre contempliamo questa distruzione, ci accorgiamo di Antonio.
Sta dipingendo il portone del suo garage, l’unica parte della casa rimasta in piedi.
Una scena tanto poetica quanto surreale di chi vuole a tutti i costi resistere contro ogni evidenza. Un’immagine perfetta di chi vive in questi luoghi, preferendo le asperità di una terra in continuo movimento, alle piatte comodità del vicinissimo mare “perché insomma, alla fine Pretare è ancora casa nostra, anche se siamo gli unici a cui interessa”.
Un’immagine che non abbiamo potuto raccogliere, perché Antonio chiede di non essere fotografato. Rispettiamo il suo volere, quella è casa sua.