“Non vedo, ma sogno.”
Andrea Camilleri
Che differenza cogliamo tra una foto scattata da una persona ipovedente e una scattata da una persona vedente? Probabilmente nessuna. In entrambi i casi sono fatte da una macchina, o da un telefono cellulare sempre più frequentemente. E la macchina, o il cellulare, ci vedono allo stesso modo, indipendentemente da chi la tiene in mano. La vera differenza sta tra come vede una persona ipovedente – ombre, luci, prospettive, colori – e come vede una persona che ha la vista perfetta. Sembra un’ovvietà, ma è quello di cui ci siamo accorti portando avanti questo progetto. Le “caratteristiche” delle fotografe – ragazze con disturbi visivi di vario tipo – passando attraverso il filtro del cellulare, dell’autofocus, delle tecniche sempre più raffinate e quasi indipendenti dall’essere umano, appiattivano le grandi differenze – e anche le grandi difficoltà – di chi “non vede”.
A partire dalle loro fotografie, il progetto ha cercato di “lavorare” queste immagini, rendendole il più possibile simili allo sguardo originale dell’inquadratura. Se volete, è stato un po’ come estendere la disabilità visiva delle autrici anche allo strumento che utilizzavano.
Ne ha guadagnato la poesia dell’immagine, la sua indefinitezza, la sua vaghezza foriera di promesse: cosa esiste in fondo alla strada? Un bagliore, un fuoco, un dirupo, un’incognita? Non lo vediamo, non lo sappiamo.