È possibile essere uniti e allo stesso tempo unici?
A questa domanda non ho risposta, ma mi torna in mente la particolare modalità dello stare insieme sui
traghetti estivi, quando un gruppo di gente casuale e sconosciuta diventa per qualche ora un’unica
comunità galleggiante. Ripenso dunque al traghetto come un’eterotopia, un luogo altro, uno di quei luoghi
che frequentiamo in quanto ci conducono ad altri luoghi, quando siamo di passaggio e ne fruiamo proprio
per questo motivo: l’essere, alla fine, un non luogo in cui transitiamo temporaneamente. Eterotopie sono
tutti quei frammenti di spazio come treni, navi, cimiteri, cinema e teatri, ma anche camere d’albergo,
ospedali. Esemplificative della nostra epoca globalizzata che tende sempre più a collegare, avvicinare e
spostare, trovo che dalle eterotopie possa nascere una riflessione interessante. In questi luoghi, simboli
ambivalenti della modernità in quanto veloce ma frenetica, connessa ma individualista, si può trovare una
funzione unificante ed esaltatrice di diversità e unicità.
Le eterotopie, nell’incarnare gli spazi e i tempi della nostra contemporaneità globalizzata e capitalistica,
hanno sì un ruolo di unione e comunione effimera, ma riunendo le persone in piccole comunità
temporanee, inducono alla riflessione sui singoli e sulle diversità di ognuno. In questi luoghi ci si osserva, ci
si guarda con più attenzione, quasi a meravigliarsi di scoprirsi assorti nell’altro; ci si considera, con fare
curioso e sognante (aveva proprio ragione Focault a dire che senza i battelli non ci sarebbero sogni). Ci si
perde nei dettagli e nelle caratteristiche che più ci accomunano o allontanano, che ammiriamo o che
respingiamo. Ci si sente tutti parte di un’unica storia e di una sola umanità, nonostante le strade e i contesti
differenti. Ci si vede. Ci si rispetta. Ci si avvicina. Ci si interroga. Ci si sente uniti ed unici nell’esaltazione
della diversità di ognuno. E si sognano una miriade di nuove ed inaspettate interazioni, alla ricerca del
confronto comunitario.
Ecco su cosa ho ragionato: uniti, ci si sente unici. Il sillogismo dell’eterotopia.
Su questi traghetti di Istanbul, crocevia nevralgico di culture, religioni ed etnie diverse , mi sono sentita,
rapita e affascinata dalla diversità, parte di un’unica umanità.
E come dice Focault «Case chiuse e colonie sono due tipi estremi di eterotopia e se si pensa, dopotutto, che
la nave è un frammento di spazio galleggiante, un luogo senza luogo, che vive per se stesso, che si
autodelinea e che è abbandonato, nello stesso tempo, all’infinità del mare e che, di porto in porto, di costa in
costa, da una casa chiusa all’altra, si spinge fino alle colonie per cercare ciò che esse nascondono di più
prezioso nei loro giardini, comprendete il motivo per cui la nave è stata per la nostra civiltà non solo il più
grande strumento dello sviluppo economico, ma anche il più grande serbatoio dell’immaginazione. La nave è
l’eterotopia per eccellenza. Nelle civiltà senza battelli i sogni inaridiscono, lo spionaggio rimpiazza
l’avventura, e la polizia i corsari.»
Francesca Mantovani, classe 1996, nasce a Reggio Emilia e manifesta fin da bambina una forte passione per la fotografia digitale ed analogica. Consegue la laurea magistrale in Filosofia del Mondo Contemporaneo presso l’università San Raffaele di Milano e partecipa a diversi progetti per giovani fotografi emergenti del festival di Fotografia Europea di Reggio Emilia. Partecipa al Circuito OFF della scorsa edizione del festival fotografico reggiano, portando una mostra dal titolo Ossimori estivi. Nel 2022 ha preso parte con due scatti al volume Fotografia di Psicografici Editore.